Dal
libro: Il Meridione d’Italia “territorio di conquista”; Cap.12
12.3.2 L’impresa dei “Mille”
12.3.2.1 La partenza
Al quartier
generale dell’operazione di Genova, Villa Spinola,
sotto gli occhi vigili del governo, giunsero dalle regioni del nord per arruolarsi
poco più di un migliaio di volontari (esattamente 1162) tra esuli meridionali,
giovani intellettuali, studenti e popolani1 che si acquartierarono presso il sito
d’imbarco di Quarto. Restava la difficoltà rappresentata dagli scarsi armamenti2 e dal reperimento delle navi per il
trasporto. Al reperimento di queste provvidero Nino Bixio3 e Benedetto Castiglia che, il 5 maggio, con
poche decine di uomini e con la collaborazione di Giambattista Fauché (12.36), presero possesso, nel porto di Genova, di
due navi a vapore della compagnia marittima di Raffaele Rubattino,
il Lombardo ed il Piemonte. In realtà, il giorno precedente a Torino era stato
stipulato, alla presenza del notaio Vincenzo Baldioli,
un contratto con cui Garibaldi, rappresentato da Giacomo Medici (12.45),
acquistava le due imbarcazioni (con ruota laterale a pale), con un
finanziamento garantito dal Regno di Sardegna.
I volontari
garibaldini la mattina del 6 maggio 1860, si imbarcarono sulle due navi per
partire verso la Toscana dove, a Talamone, Garibaldi
dichiarandosi generale dell’esercito piemontese, si fece consegnare armi e
munizioni dal comandante della guarnigione del Regno Sardo. Prima di
proseguire, Garibaldi inviò un gruppo di sessantaquattro uomini guidati da Callimaco Zambianchi verso
territori dello Stato Pontificio per operare una manovra diversiva e quindi
dirigersi scaglionati verso la Sicilia. Dopo la partenza da Talamone
(9 maggio)4 le due
imbarcazioni fecero sosta a Porto S. Stefano per rifornimento di carbone, quindi
si diressero verso la Sicilia. Giunti nei pressi della quale godettero della
provvidenziale copertura della flotta britannica che, con il pretesto di
proteggere i cittadini inglesi residenti in Sicilia, incrociava intorno alle
coste sicule, frapponendosi fra le navi garibaldine e quelle borboniche per
ostacolare l’eventuale intervento di queste ultime. A meno che le navi
borboniche volessero rischiare uno scontro con le navi inglesi e provocarere quindi il coinvolgimento armato
dell’Inghilterra5.
Anche all’arrivo
a Marsala (11 maggio) dove, e non a caso (12.38), Garibaldi scelse di sbarcare
riuscendo a precedere le navi borboniche che lo inseguivano, fu protetto dalla
presenza in porto di navi inglesi (Argus ed Intrepid). Queste, non occasionalmente alla fonda,
manovrarono opportunamente per proteggerlo dal cannoneggiamento delle navi
borboniche. Il Piemonte si arenò per favorire lo sbarco dei volontari mentre il
Lombardo fu cannoneggiato ed affondato6 quando ormai tutti i volontari garibaldini
erano sbarcati.
12.3.2.2 La conquista della Sicilia
Il contingente
sbarcato trovò fredda accoglienza presso i cittadini di Marsala. Il giorno
successivo, salutato dal console inglese Collins, Garibaldi, concordata la
strategia con il suo capo di stato maggiore Sirtori7, divise il suo
contingente in sette compagnie cui si erano uniti decine di volontari
siciliani, quindi procedette con cautela verso Salemi,
beneficiando della generosa ospitalità ricevuta lungo il percorso dal marchese
di Torrealta. Durante il trasferimento il contingente
evitò le principali vie di comunicazione, guidato dalla eccezionale capacità di
Garibaldi che, non volendo scontrarsi con forze nettamente preponderanti,
attuava la strategia di guerriglia appresa nel decennio di lotte in Sud America.
Essa consisteva nell’evitare la battaglia in campo aperto e preferire assalti
improvvisi in campi angusti, rapide
marce ed accurate dispersioni, tattica che demoralizzava il nemico ed animava i
suoi.
Giunto il 13
maggio a Salemi accolto da entusiastici
festeggiamenti, Garibaldi emanò, il giorno successivo, un proclama in cui
dichiarava di assumere la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele
II, quindi si diresse verso Calatafimi. Qui, il
generale borbonico Francesco Landi8
inviò un distaccamento, tre compagnie di 2000 uomini, guidato dal
maggiore Sforza, il quale decise di attaccare
appena resosi conto della esiguità numerica dei volontari garibaldini.
Questi, schierati sulle alture di Pietralunga,
rimasero in attesa finché i borbonici non furono alla portata quindi spararono
a bruciapelo ed aggredirono all’arma bianca (15 maggio). Nello scontro
violento, sanguinoso ed incerto i garibaldini ebbero la meglio grazie
all’apporto di volontari siciliani9.
La diffusione
della notizia dello scontro vittorioso, propagata con i falò sulle alture,
rappresentò un evento determinante per il felice prosieguo dell’impresa che fu
sostenuta dall’entusiasmo e dal coinvolgimento delle masse contadine. Esse
vedevano in Garibaldi il vendicatore delle ingiustizie patite ed egli, con il
suo carisma e la sua sensibilità popolare, riuscì a valorizzare la loro
partecipazione creando una atmosfera di entusiasmo e di fiducia che concorsero
ad accrescerne la leggenda.
L’aggregazione
diretta al contingente di alcune migliaia volontari (picciotti10) guidati da Rosolino Pilo e da Giuseppe La Masa creò in tutta
l’isola un clima rivoluzionario.
Da Calatafimi (16 maggio), attraverso Alcamo, Partinico e
Borsetto, il contingente garibaldino si diresse, in un susseguirsi di rapidi
scontri nel corso dei quali perse la vita (21 maggio) Rosolino Pilo, verso
Palermo, dove si stavano asserragliando, in vista di una controffensiva, le
truppe borboniche del generale Landi. Questi, su
suggerimento di Filangeri, venne sostituito dal generale
Ferdinando Lanza, siciliano, conoscitore dei luoghi ma vecchio e lento, cui era
stato dato mandato di evitare di concentrare le forze a Palermo. Garibaldi, che
intuiva la minaccia incombente, predispose una manovra diversiva,
apparentemente una ritirata, mediante l’invio di un gruppo di volontari verso
Corleone, attraverso la Piana dei Greci. La manovra trasse in inganno il
contingente di tremila svizzeri che, guidati dal colonnello von Meckel, erano stati inviati ad intercettare i garibaldini.
Frattanto Garibaldi, col grosso dei suoi volontari, di notte e per vie
secondarie aggirò a sud Palermo e all’alba del 27 maggio, con l’avanguardia
condotta da Bixio, sorprese le disorientate truppe
borboniche da est, presso il ponte dell’Ammiraglio, conquistato all’arma bianca
dopo un breve ma violento combattimento11. I garibaldini, esprimendo
livelli elevati di eroismo, si aprirono l’accesso alla città che li accoglieva
sostenendoli ed affiancandoli. Il comandante delle truppe borboniche, Lanza,
abbandonò via via gran parte dei quartieri cittadini,
premuto dai garibaldini e dagli insorti e, nel tentativo di capovolgere le
sorti dello scontro, si ritirò sulle alture del forte di Castellammare da dove,
per tre giorni, cannoneggiò la città, sottoponendola ad un inutile massacro che
causò centinaia di vittime. Malgrado l’arrivo di rinforzi, i borbonici
continuavano ad arretrare, finché su intervento del comandante della squadra
britannica nel porto di Palermo, ammiraglio Mundy, fu
proposto un armistizio. Questo, concordato su una nave britannica (31 maggio)
da Garibaldi e Crispi con gli inviati borbonici,
prevedeva il mantenimento delle rispettive posizioni militari. Ciò accadeva
mentre giungeva a Palermo il contingente di von Meckel
che, con improvvisi assalti, aveva ripreso alcuni quartieri ed avrebbe potuto
capovolgere la situazione se non fosse stato obbligato al rispetto
dell’armistizio da Lanza cui il re, informato in termini più foschi di quanto
fosse la realtà, aveva dato facoltà di decidere. Lanza, attanagliato
dall’inevitabilità della sconfitta, rinunciò alla difesa di Palermo lasciandola
in mano agli irregolari di cui conosceva l’efferato ardore e, predisponendosi
per uno scontro in campo aperto, il 6 giugno, concordò l’imbarco delle truppe.
Queste, entro il 19 giugno, lasciarono Palermo, attuando, come era accaduto nel
1848, il piano di emergenza che consisteva nel ripiegare su Messina, dove le
truppe borboniche vennero affidate al comando del generale Clary,
sostituto di Lanza che, rientrato a Napoli, venne imprigionato e mandato sotto
processo, che non fu celebrato per l’evolversi degli eventi.
A Palermo
Garibaldi istituì il quartier generale a Palazzo Pretorio e nominò un governo
provvisorio (2 giugno) da lui presieduto ma sostanzialmente diretto da Crispi, in qualità di ministro degli interni. Intanto l’eco
provocata dai successi garibaldini ebbe favorevoli ripercussioni all’interno in
quanto tutta l’isola si sollevava abbattendo, a parte la piazzaforte di
Messina, i presidi borbonici che, fin dall’inizio assuefatti alla convinzione
che avrebbero agevolmente controllato l’arrivo di un migliaio di garibaldini
male armati, erano impreparati a reggere una vasta rivolta popolare. Nelle
campagne, infatti, da parte del proletariato agrario si era scatenata una
sanguinosa sommossa che, priva di carattere
politico, si rivolgeva non solo contro i borbonici ma anche contro i
proprietari terrieri ed i gabellotti (6.18), ritenuti
responsabili del loro malessere.
I successi dei
garibaldini promossero diverse reazioni.
A Napoli,
consigliato da Carlo Filangeri, il re Francesco II
cercò di correre ai ripari con tardive concessioni liberali fino a ripristinare
la costituzione del 1848, dare avvio alla formazione di un governo moderato
diretto dal principe Antonio Spinelli di Scalea (25 giugno 1860) ed adottare il
tricolore. Scelte che comunque non servirono ad arrestare la disgregazione del
Regno.
In continente
gli echi dell’impresa garibaldina e l’entusiasmo destato avevano moltiplicato
gli sforzi, con ripetuti invii, tra giugno e luglio, di materiali ed uomini che
accorrevano da tutte le parti d’Italia12.
In luglio
Garibaldi distribuì i circa seimila uomini a disposizione, tutti regolarmente
inquadrati e giustamente equipaggiati, su tre colonne che inviò rispettivamente
a presidio del territorio di Girgenti (Agrigento),
quella comandata da Bixio, a Catania quella di
Stefano Turr13, e la più consistente, di duemilacinquecento uomini,
guidata da Giacomo Medici, verso Messina dove si erano raggruppate le truppe
borboniche. Quest’ultima, intercettata a Milazzo da un contingente borbonico,
fu raggiunta da Garibaldi (19 luglio) ed il giorno successivo avvenne lo
scontro col contingente borbonico del colonnello Beneventano del Bosco. Benché
questi, nello scontro più articolato e sanguinoso fino ad allora combattuto in
Sicilia, avesse inflitto ai garibaldini severe perdite (quasi ottocento
garibaldini rimasero sul campo), fu costretto a ritirarsi nel forte di Milazzo.
Il 24 luglio, tra Medici e Clary, fu stabilito un
accordo che prevedeva la resa di Milazzo e, il 28 luglio, della città di
Messina, mentre il contingente borbonico si sarebbe ritirato nella cittadella
di Messina14.
Con il
completamento della conquista della Sicilia sorsero le questioni di carattere
amministrativo e politico.
12.3.2.3 L’amministrazione della Sicilia
A Garibaldi,
dopo la conquista di Palermo, si pose il compito di amministrare la Sicilia e,
aiutato dalla sua autorità morale, lo fece con zelo riformatore privilegiando
gli interessi del popolo. Ma carente come era di esperienza ed abilità
politica, non riuscì a portare a termine quanto era nei suoi intenti, viziati
da eccessivo ottimismo e da un particolare riguardo verso gli interessi
popolari. Inizialmente furono emessi una serie di decreti che sancivano sgravi
fiscali, eliminazione della tassa sul macinato e dei dazi, nazionalizzazione
delle proprietà ecclesiastiche, ripartizione delle terre demaniali regie tra i
contadini che accettavano di combattere. Ingenuamente Garibaldi cercò di
impedire per decreto che i contadini si rivolgessero al padrone chiamandolo
“eccellenza” e baciandogli la mano15. Egli aveva in programma di
liberalizzare gli scambi, di potenziare le infrastrutture, di costruire
villaggi, arginare fiumi, rimboschire le pendici dei monti, costruire asili e
potenziare ogni tipo di scuola. Ma
appena i notabili si riebbero dallo stupore in cui la rapidità dei cambiamenti
li aveva avvolti, ripresero ad influenzare e determinare gli eventi. Ed anche se
il governo dittatoriale si mostrò sensibile verso le attese popolari adottando
provvedimenti a favore della ripartizione delle terre ai contadini, furono
repressi gli eccessi, soprattutto laddove essi avrebbero potuto compromettere
l’azione di unificazione avviata.
Le lotte dei
contadini comunque si allargarono facendo tramontare ogni possibilità di
convivenza con la classe borghese ed anticipando quel fenomeno di rivolta, il
brigantaggio, in parte alimentato da quelle bande armate (12.43) che, avendo
esaurito l’iniziale apporto all’affermazione garibaldina, vennero a costituire
una forza che, non assecondata, avrebbe
rivolto il suo potere offensivo contro il nuovo governo in una lotta che
caratterizzò, nel Meridione, il primo decennio dell’unificazione (13.3.1,
13.3.2).
Le rivolte
scoppiate nell’area etnea, Randazzo, Regalbuto, Biancavilla, Cesarò ecc. e soprattutto a Bronte
affondavano le loro radici nei decenni precedenti, allorché essendosi avviati
altrove processi di distribuzione di terre ai contadini, in quella zona tutto
era rimasto congelato nella protezione del feudo appartenente agli eredi
dell’ammiraglio Horace Nelson (9.46) e di altri
possedimenti di cittadini inglesi in zona. I contadini, dando libera
interpretazione ai decreti di Garibaldi, pensarono di potersi liberare prontamente
dal giogo che li aveva oppressi per secoli. Negli ultimi giorni di luglio,
spinti non da motivi politici ma sociali legati alla miseria ed
all’ingiustizia, si coalizzarono per impadronirsi degli immensi patrimoni
terrieri e, compatti ed armati, scesero nelle piazze creando tumulti e
presidiando le strade in un clima di terrore per impedire la fuga dei
possidenti. Il furore popolare, sostenuto da una miscela veemente di desiderio
di libertà e mosso da odi e sorprusi a lungo
repressi, si sfogò in eccidi brutali.
Per tutelare gli
interessi di cittadini inglesi, il console Goodwin sollecitò l’intervento di
Garibaldi. Questi, non potendo ignorare l’aiuto inglese ricevuto
nell’organizzazione e conduzione della sua impresa, non volendo alienarsi
l’appoggio dei proprietari terrieri e tantomeno cedere alle pressioni delle
masse contadine, ordinò a Bixio di recarsi a Bronte per reprimere una rivolta che aveva ampiamente
oltrepassato il limite della civiltà. Bixio, giunto a
Bronte il 6 agosto, quando già la rivolta aveva
esaurito la sua carica violenta ed i contadini si erano dispersi nelle
campagne, proclamò lo stato d’assedio, intimò la consegna delle armi e, quale
deterrente per altre analoghe situazioni in atto in altri comuni, attuò una
rappresaglia senza precedenti, trasformando in vittime innocenti coloro che per
primi caddero nella rete16.
Cavour, sorpreso
dagli eventi e dalla rapidità con cui essi si erano verificati, studiava la maniera
di utilizzare la conquista e, pensando ad una annessione, dopo aver verificato
il favore degli inglesi e la tacita approvazione di Napoleone III, inviò in
Sicilia La Farina (12.31) con l’incarico di promuovere un plebiscito. Perché
Cavour, pervaso come era dal costante timore che sotto l’influenza di Mazzini
l’impresa potesse volgere verso un profilo repubblicano, cercava infatti di
affrettare l’annessione.
La Farina
dovette constatare il dissenso di Garibaldi, di Crispi
e di tutto l’entourage. Il primo, pur mantenendo una posizione di lealtà nei
confronti del re, non riteneva conclusa la sua azione prima della conquista dei
territori continentali e dello Stato Pontificio ed il secondo, pur essendo di
sentimenti democratici ma autonomista, ebbe un aspro scontro con La Farina. Il
quale, tuttavia, con l’avvio di diverse iniziative favorite da coloro che non
si sentivano protetti da Garibaldi ma contrastate dalla moltitudine interessata
solo all’indipendenza e non ad una forma di sottomissione, riuscì a consolidare
l’ipotesi dell’annessione. Ma il 7 luglio, con una sfida aperta al governo
sardo di Cavour che non voleva perdere la possibilità di controllare lo
sviluppo degli eventi, La Farina fu arrestato ed espulso17, facendo
cadere al momento l’ipotesi annessionista.
Garibaldi, in
previsione di lasciare la Sicilia per risalire il continente, dovette accettare
con il governo di Torino un compromesso che comportò la nomina a prodittatore
di Agostino Depretis (13.2) un esponente della
sinistra moderata da lui imposto, su suggerimento di Crispi
che lo affiancò.
Depretis si insediò il
22 luglio con l’impegno a non avviare il processo di annessione senza il
consenso di Garibaldi.
12.3.2.4 La conquista delle regioni continentali
Lo sbarco in
Calabria, che significava un affondo più diretto alla dinastia borbonica, fu
preceduto da articolate valutazioni politiche. L’operazione di sbarco infatti
non poteva che avere come risultato l’unificazione di tutta l’Italia ed il
probabile attacco allo Stato Pontificio che era nelle esplicite intenzioni di
Garibaldi e dei suoi collaboratori, in particolare di Bertani
(12.45).
Gli inglesi, che
erano in rotta con i Borboni e che avevano favorito
la prima fase dell’impresa garibaldina, erano propensi alla costituzione di uno
Stato italiano a condizione che nessuna altra nazione trovasse occasione di
ingrandimenti. Nella Francia di Napoleone III, alla iniziale posizione di
tacita accondiscendenza, si era sostituita la preoccupazione che gli eventi
potessero assumere un aspetto non facilmente controllabile. L’Austria,
impotente, manteneva il suo atteggiamento di ostilità.
Cavour voleva
impedire che il Meridione continentale fosse conquistato da Garibaldi e si era
già adoperato, con la collaborazione della diplomazia francese, perché il re
delle Due Sicilie, Francesco II, facesse quelle
concessioni (costituzione e formazione di un governo democratico) che avrebbero
potuto far decantare la situazione e porre il Regno in una posizione di
subalternità al governo piemontese. A tal fine, Cavour aveva fatto rientrare a
Napoli tutti gli esuli. Ma la
prospettiva di realizzazione del progetto era di lungo periodo mentre gli
eventi incalzavano. Cavour valutò la possibilità di fare scoppiare a Napoli un
moto rivoluzionario contro i borboni che anticipasse
le mosse di Garibaldi. Ma anche questa ipotesi svanì perché le classi moderate
che avrebbero dovuto provocarlo, sentendosi minacciate da una rivolta,
propendevano per l’annessione. Intanto Cavour riteneva elevati i rischi legati
all’impresa garibaldina e, pur continuando ad ostacolarla coll’ordine impartito
all’ammiraglio della flotta sarda, Persano18, che incrociava nelle
acque siciliane, di non ostacolare i tentativi della flotta borbonica volti ad
impedire all’armata garibaldina di attraversare lo Stretto, restava attento ad
utilizzare gli eventuali risvolti positivi
delle vicende.
D’altro canto il re Vittorio Emanuele
elaborava la sua ambigua diplomazia
inviando ufficialmente a Garibaldi missive per invitarlo a desistere
dall’impresa, mentre confidenzialmente gli faceva pervenire suggerimenti sulle
modalità di respingere le missive stesse.
Era questa la
situazione diplomatica al momento in cui Garibaldi decise l’attraversamento
dello stretto.
Anticipate da
una fitta propaganda che prometteva forme di vita più eque, nella notte tra l’8
ed il 9 agosto, trasportati da barche sbarcarono sull’estremo lembo della
penisola le avanguardie garibaldine di circa duecento uomini, guidate da
Benedetto Musolino. Questi, con l’apporto di numerosi
volontari guidati da Agostino Plutino ed appartenenti
a tutte le classi sociali, stabilirono una testa di ponte da cui partirono
ripetuti e vani tentativi di conquistare il forte di Altafiumara,
difeso dal generale Ruiz19. Garibaldi raggiunse Taormina dopo essere
appena rientrato dalla Sardegna, dove era andato a sbloccare la partenza per la
Sicilia di volontari che, organizzati da Bertani,
erano stati trattenuti dalle autorità nel timore che fossero diretti contro lo
Stato Pontificio. Sulle spiagge di Taormina si era radunato un grosso
contingente (3600 uomini dei circa 20000 volontari a disposizione) che,
imbarcatosi a Giardini su due navi di trasporto (Franklin e Torino), attraversò
nella notte del 18 agosto le acque dello Stretto di Messina senza essere
ostacolato da presenze ostili20. Il contingente sbarcò all’alba del
19 agosto a Melito di Porto Salvo accolto
dall’entusiasmo popolare. Nella notte Reggio era stata attaccata, costringendo
alla resa la guarnigione borbonica.
La felice
operazione di sbarco riscosse risonanza all’estero, suscitò favore in Italia e
convinse Cavour delle prospettive positive ad essa legate21. Egli
assunse di conseguenza una posizione di favore nei riguardi dell’impresa,
impegnandosi a controllarne l’evoluzione al fine di evitare l’insorgere di
suscettibilità all’estero. E per questo era necessario difendere l’integrità
dello Stato Pontificio su cui si stendeva la protezione di Napoleone III.
Dopo la
liberazione di Reggio i garibaldini furono fronteggiati da circa 16.000 soldati
borbonici dislocati tra Reggio e Monteleone (attuale
Vibo Valentia). Il contingente guidato da Garibaldi e Medici attaccò le truppe
borboniche guidate dai generali Fileno Briganti e
Nicola Melendez attestati nel pressi di Scilla che,
non ricevendo il sostegno delle forze comandate dai generali Ruiz e Vial, si arresero22.
Le truppe garibaldine, rafforzate da un secondo contingente che, guidato da Bertani e Cosenz era sbarcato, il
22 agosto, sul lido di Favazzina (tra Scilla e Bagnara), iniziarono
la risalita e, superato il fiume Amato nella piana di Santa Eufemia, vennero in
contatto, ad Agrifoglio, con un reparto borbonico in ritirata. Operando una
manovra di aggiramento, un contingente garibaldino guidato da Stocco accerchiò,
nei pressi di Soveria Mannelli (30 agosto) le truppe
borboniche numericamente prevalenti, costringendo il generale Ghio alla resa.
Conquistata
agevolmente la Calabria23, Garibaldi, da Cosenza (30 agosto),
attraverso Castrovillari raggiunge Scalea dove si imbarcò per Sapri e da qui, attraverso Sala, giunse il 6 settembre a
Salerno. Qui lo raggiunsero ambasciatori inviati dal ministro degli interni del
governo napoletano, Liborio Romano che, in contatto
con Cavour tramite Persano e preoccupato per l’ordine
pubblico, lo invitava a prendere pacifico possesso di Napoli e ad assumere,
come in Sicilia, la carica di dittatore.
Francesco II,
costatando che tutto gli crollava attorno24, dopo il rifiuto di Filangeri
(12.5) di riprendere in mano la situazione, il 4 settembre tenne un consiglio
di guerra dove fu deciso di posizionare la parte di esercito rimasta fedele, al
comando del generale Giosué Ricucci,
su una area di difesa fortificata, situata tra i fiumi Volturno e Garigliano.
Quindi, il 6 settembre, accompagnato dalla moglie Maria Sofia ed ignorato da tutti, mentre gli
inservienti ne rimuovevano le insegne, lasciò Napoli, portando con se solo
poche cose25. Sulla nave Messaggero (i comandanti delle navi Fieramosca, Ruggiero e Guiscardo
si erano rifiutati di seguirlo) raggiunse con pochi fedeli la fortezza di Gaeta
dove, il giorno seguente, insediò un nuovo governo borbonico guidato dal
generale Casella. Nelle caserme di Napoli restavano seimila soldati borbonici
comandati dal generale Cataldo.
Il 7 settembre
Garibaldi con Bertani, Cosenz
e pochi altri giungeva a Napoli per ferrovia (la Napoli-Portici;
si era imbarcato a Cava dei Tirreni) accolto da un tripudio di popolo e dai
governanti che si prostravano al nuovo padrone.
Venne affidata a
Liborio Romano la guida del nuovo governo, di cui
facevano parte i ministri Crispi agli esteri, Cosenz alla guerra. Al generale borbonico Ghio fu affidato il comando della piazza di Napoli mentre
giungeva notizia che il generale borbonico al comando delle truppe in Abruzzo
aveva dato ordine di cessare ogni resistenza.
Il regime
borbonico era crollato ma non ancora completamente abbattuto.
Note
[1] Tra i Mille era considerevole il numero di avvocati e medici, numerosi anche gli ingegneri e qualche decina di farmacisti. Vi erano anche numerosi appartenenti a classi benestanti e molti stranieri, ungheresi, inglesi, turchi e tedeschi tra cui Wolff che assunse il comando dei disertori tedeschi e svizzeri dalle fila borboniche.
2 Finanziamenti per l’impresa erano giunti da una sottoscrizione nazionale “per un milione di fucili” avviata nel dicembre del 1859. Inoltre, dalle logge massoniche dell’Inghilterra (presumibilmente dal Governo inglese attraverso le logge) dove grazie all’attività di Mazzini vi era molto favore per l’Italia, Garibaldi ricevette rilevanti finanziamenti in piastre d’oro turche (moneta franca nell’area mediterranea, corrispondente a svariati milioni degli attuali euro) che furono amministrate da Ippolito Nievo e servirono anche a limitare l’impegno dei generali borbonici. Anche dagli Stati Uniti giunsero aiuti tra cui cento pistole inviate dall’industriale Colt.
Ippolito Nievo (1831-1861) letterato che aveva partecipato con Garibaldi alla II Guerra d’indipendenza morì in un naufragio. Autore di racconti e romanzi di ambiente contadino, Novelliere campagnolo, e di romanzi storici, Le confessioni di un italiano.
3 Gerolamo Bixio detto Nino (1821-1873), massone genovese affiliato, come Giambattista Fauché, alla loggia Trionfo Ligure, affiancò Garibaldi nel corpo dei Cacciatori delle Alpi e nella difesa della Repubblica romana (1849). Nell’impresa dei Mille resta emblematica la maniera con cui represse la rivolta contadina di Bronte. Entrato nell’esercito regolare, partecipò alla III Guerra d’indipendenza. Fu deputato e senatore.
4 Un gruppetto di volontari di ispirazione repubblicana avevano abbandonato l’impresa. Restarono 1089 volontari diretti in Sicilia.
5 L’ostilità britannica contro i Borbone
datava dalla guerra dello zolfo del 1838 (pag. 293) e si era acuita con altri
episodi (11.3.1.3). Tuttavia il motivo politico prevalente alla base
dell’ostilità dell’Inghilterra nei riguardi del Regno borbonico consisteva
nell’alleanza di questo con l’Impero
russo che aspirava ad avere uno sbocco nel Mediterraneo, dove, in prossimità
dell’apertura del canale di Suez (1869), i porti siciliani avrebbero assunto
una importanza strategica rilevante. Marsala era quasi una colonia inglese per
la presenza di numerosi cittadini legati
al commercio del vino pregiato e dello solfo, ragion per cui era abituale la
presenza di navi inglesi alla fonda nel porto.
6 Sembra che il comandante della nave borbonica Capri, Marino Caracciolo, abbia atteso lo sbarco dei volontari prima di focalizzare il cannoneggiamento.
7 Giuseppe Sirtori (1813-1874), partecipò alla difesa di Venezia (1849). Dopo l’impresa dei Mille divenne generale dell’esercito italiano, prendendo parte alla III Guerra d’indipendenza.
8 Il generale Francesco Landi, malgrado avesse a disposizione 25.000 uomini, ritenne sufficiente l’impiego di un esiguo distaccamento per affrontare i garibaldini. Dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, Landi fu promosso generale di corpo d’armata dalla nuova amministrazione, quindi messo a riposo con una cospicua pensione.
9 Il feudatario Coppola, uomo accorto e conoscitore degli umori del luogo, si era unito con circa duecento contadini a Garibaldi. Sembra che durante la battaglia Garibaldi, in risposta a Bixio che, valutando le difficoltà, gli consigliava un ripiegamento, pronunciasse il leggendario “Qui si fa l’Italia o si muore!”
10 Talvolta questi mancavano di disciplina e si combattevano tra loro ma furono particolarmente utili a Garibaldi perché creavano diversioni e, sapendo come muoversi nelle campagne, controllavano le bande di irregolari. Questi ultimi, montanari armati approssimativamente (un chiodo infilato in un bastone), costituivano, nelle città, un mito terrificante. Essi trovarono occasione per le loro vendette incendiando le proprietà dei nobili, invadendo le terre demaniali e feudali e bruciando i documenti di proprietà nei municipi.
11 Garibaldi aveva avuto informazione della dislocazione delle truppe borboniche a Palermo dai numerosi contatti che aveva con ufficiali inglesi e giornalisti che andavano a trovarlo.
12 Le
spedizioni partivano da Genova, organizzate da Agostino Bertani
e guidate da Giacomo Medici e da Enrico Cosenz per
portare in Sicilia, oltre ad una considerevole quantità di armi, circa 20.000
volontari che, secondo alcuni, non erano altro che soldati piemontesi camuffati.
- Agostino Bertani (1812-1886), politico e medico, fu fra gli organizzatori delle cinque giornate di Milano, dei servizi sanitari dei Cacciatori delle Alpi e della spedizione dei Mille in cui ebbe funzioni direttive nel governo dittatoriale. Massone ed aderente alla sinistra storica, fu ispiratore della nascita del Partito radicale.
- Giacomo Medici (1817-1882), volontario garibaldino, di personalità autorevole ed unico a rivolgersi a Garibaldi con il “tu”, partecipò alla I, II e III Guerra d’indipendenza ed alla difesa della Repubblica romana del 1849. Fu deputato e senatore al Parlamento unitario.
- Enrico Cosenz (1820-1898), ufficiale dell’esercito borbonico, passò alle dipendenze di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi ed ebbe un ruolo in Sicilia come ministro della guerra e nella battaglia di Milazzo. Dopo il 1860, fu deputato, senatore e capo di stato maggiore dell’esercito italiano.
13 Stefano Turr (1825-1908), ufficiale dell’esercito austriaco, disertò durante le cinque giornate di Milano (1848) e, dopo essersi rifugiato in Piemonte, entrò nell’esercito Sardo da cui fu espulso per aver partecipato alle insurrezioni mazziniane del 1853. Partecipò alla guerra di Crimea nel corpo britannico ed alla II Guerra di indipendenza con i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi.
14 Questa, difesa dal maresciallo Fergola, fu espugnata dal generale Cialdini (13.4) soltanto nel marzo 1861.
15 Usanza troppo radicata perché potesse essere rimossa per decreto. L’emanazione di norme volte a modificare i comportamenti personali era già stata tentata senza successo dal re Savoia, Vittorio Amedeo II e dal viceré borbonico Domenico Caracciolo.
16 A Bronte, l’avv. Nicolò Lombardo, persona dotata di equilibrio e correttezza, capo della fazione più popolare (comunali) in contrapposizione con quella dei proprietari terrieri (ducali), ma privo di poteri effettivi non era riuscito, malgrado ripetuti e convinti tentativi, a fermare la violenza. Essa si era sviluppata in una serie di sedici barbare esecuzioni, caratterizzate da eccessi che sconfinarono oltre ogni limite umano. Di queste furono vittime non tanto i possidenti ma persone ad essi legate (notaio, contabile, impiegato del catasto, ecc.). Gli avversari di Lombardo colsero l’occasione per eliminarlo, indicandolo a Bixio quale responsabile della rivolta. Gli amici suggerirono a Lombardo di fuggire per sottrarsi alla rappresaglia ma egli, consapevole di aver mantenuto corretti comportamenti, si presentò a Bixio che, dopo averlo aggredito verbalmente senza fornirgli occasione di discolpa, ne ordinò l’arresto e lo fece sottoporre a giudizio, assieme a quattro malcapitati popolani analfabeti (fra cui uno mentalmente infermo) ritenuti promotori degli eccidi. Il giudizio si celebrò il 9 agosto, con gravi carenze procedurali e con un esito scontato, malgrado il Lombardo avesse cercato di convincere i giudici della estraneità di tutti i sottoposti a giudizio. La fucilazione avvenne all’alba del 10 agosto.
La scelta di Bixio trascurava ogni regola di giustizia per soddisfare alle ciniche regole dell’opportunità imposte dalla guerra e ripristinando quelle regole di vita che Garibaldi, coi suoi proclami, aveva inteso abbattere.
I fatti di Bronte restano tutt’ora oggetto di dibattiti ed interpretazione.
17 Sembra che l’episodio vada connesso all’arresto di due spie borboniche che poi risultò informassero anche Cavour.
18 Carlo Persano (1806-1883), personaggio problematico ed insicuro, fu ministro della guerra nel 1862. Concluderà la sua attività con la battaglia di Lissa (III Guerra d’indipendenza) a seguito della quale, accusato di imperizia, fu processato e destituito.
19 Il forte verrà conquistato a fine agosto dalle retroguardie garibaldine.
20 Le navi borboniche Fulminante e Aquila rimasero inoperose al punto che i loro comandanti subirono maltrattamenti dalla ciurma indignata per la mancanza di reazione.
21 Cavour scriveva a Nigra (12.16) ambasciatore a Parigi: “….preferisco veder sparire la mia popolarità, perdere la reputazione, ma veder fare l’Italia …”
22 La capitolazione fin troppo sollecita dei
contingenti borbonici può essere spiegata con la scarsa efficienza e la cattiva
direzione dei poco zelanti generali, forse scarsamente dotati e motivati ma
certamente assaliti dalla sindrome di disfacimento che aleggiava sul Regno. Il
generale Briganti, sospettato di tradimento, venne ucciso dagli stessi soldati
a Mileto; il generale Vial, nominato in luglio
comandante delle forze borboniche in Calabria, avviò trattative con Garibaldi
dopo aver ordinato al grosso delle sue truppe (più di quindicimila uomini),
guidate dal generale Ghio, di ritirarsi verso Napoli,
quindi si imbarcò a Pizzo sulla Protis per
raggiungere Napoli. Analogamente si comportò il generale Afan
de Rivera. Immediatamente dopo a Pizzo sbarcava, dal piroscafo Eugenia,
il maggiore borbonico Ludovico de Sauget per
raccogliere informazioni su quanto stava verificandosi nell’esercito borbonico.
Re Francesco II aveva amaramente previsto: “dei nostri soldati non si
vedranno che i culi ed i tacchi”.
23 Garibaldi e Stocco attribuirono la facilità con cui avevano risalito la Calabria all’apporto del popolo cui Garibaldi rivolse un messaggio di gratitudine “Dite al mondo…..”
24 Lo stesso ministro della guerra, generale Pianell, diede le dimissioni (3 settembre) e partì per la Francia, per ricomparire dopo alcuni mesi con i gradi di generale nelle fila dell’esercito unificato.
25 Francesco, accompagnato da pochi aiutanti, portò con se l’archivio personale e lasciò nella Reggia e nel Banco di Napoli la sua personale e favolosa fortuna, i gioielli e gli abiti della moglie ed i depositi privati di questa. Prima di partire, il 5 settembre, emanò un proclama in cui affermava di allontanarsi da Napoli per evitare danni alla città e poneva in evidenza di non aver reagito alle innumerevoli cospirazioni ordite contro di lui, non per debolezza, ma per non macchiarsi di crudeltà. Nello stesso proclama, rivolgendosi ai sudditi li ammoniva profeticamente “… sognate l’Italia ma arriverà il giorno che non avrete più nulla, nemmeno gli occhi per piangere”. A Gaeta fu istituito un nuovo governo affidato al generale Casella ed il re ricevette il saluto da parte dei diplomatici di molte nazioni, tranne Inghilterra e Francia.